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Archivio di 12/1992
L’ospedale di Pierina
Tuesday, 29/12/1992
L’Ospedale di Pierina
I pazienti? Bambole, orsacchiotti e trenini
Scendendo, dal Quirinale, giù per la via IV Novembre e imboccando la via di Magnanapoli (una rampa di scale che sbocca su piazza Venezia), al numero 9, c’è un piccolo negozio di souvenir, uno come tanti, polverosetto, con una cert’aria modesta d’altri tempi. Se alzate lo sguardo sopra al moderno neon, leggerete una scritta vecchiotta: “Riparazioni bambole”. Quel bugicattolino zeppo di busti di Beethoven e di colossei alti pochi centimetri, infatti, custodisce nel retrobottega un “Ospedale della bambole”. E’ Pierina Cesaretti, da 13 anni, il primario del nosocomio per pupattole e orsacchiotti e si vede da come mostra le sue damine belle come raggi di sole che veste il camice con passione. “Aggiustiamo bambole vecchie e nuove, da pochi soldi o rarità, mettiamo parrucche bionde e brune, persino di capelli veri, ricuciamo occhi ai peluche, ripariamo trenini e burattini, insomma cerchiamo di rimettere a posto tutti i balocchi che ci portano”, dice la dottoressa della bambole, mentre mostra a chi scrive, aprendo una vetrina, i ferri del mestiere: scarpe piccole come ditali, calzette rosa e celesti, treccine e code di cavallo, e poi braccini, visetti, mutande in pizzo, calotte di crani per bambolotti. “Servono per rimettere a nuovo le bambole”, dice la Pierina e per rendere l’idea mi fa vedere i sacchetti che contengono le pupattole rovinate dall’incuria, dal tempo, dai dispetti di generazioni. Ci sono vecchie signorine con la testolina di bisquit e il sempreverde Cicciobello, c’è la bambola parlante con un microfono nel pancino e quella i cui occhioni blu fanno flap flap e si capisce che doveva essere civettuola anche dall’abitino di merletto che porta, nonostante il nerume della polvere. “Devo rifarle il vestito”, mi dice la Pierina leggendomi nel pensiero e mi fa vedere le fotografie delle sue pazienti restaurate, le perle più preziose: vezzose damine, morbidi bebè, tristi pierrot. C’è persino una scimmietta dispettosa che piaceva tanto anche a lei, alla Pierina, signora delle bambole.
L’Ospedale della Bambole di Pierina Cesaretti è in Via Magnanapoli, 9 tel: 066790058
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Mamma, perchè si muore?
Tuesday, 29/12/1992
Mamma, perché si muore?
Come rispondere alle domande difficili dei bambini
In Gran Bretagna è uscito un libro prezioso (si intitola “Ask uncle Albert”, cioè chiedilo allo zio Albert, il quale - s’intende - sarebbe Einstein) che insegna ai genitori a rispondere a tono alle domande difficili (e scientifiche) poste dai loro bambini. Interrogativi da panico, del tipo perché brillano le stelle oppure perché l’acqua è liquida o che cos’è il Dna. Russel Stannard, professore di fisica nucleare, risponde con semplicità e senso dell’umorismo e i genitori, commossi, ringraziano. Vi è mai capitato ad esempio che la creatura vi chieda perché, incidenti e malattie a parte, si muore? Una domandina niente male alla quale il nostro risponde così: “Ritengo che la ragione fondamentale sia che le persone si consumino”. Il cuore, per esempio. Funge da pompa per tutto il sangue che ci corre su e giù per il corpo. Continua: “Ogni secondo un battito. Il che significa - spiega l’autore - che, all’età di 70 anni, ha pompato 2 mila milioni di volte. Non sorprende che sia quasi ora di far le valigie”. Una macchina perfetta, il cuore, commenta Stannard e conclude: “Quanto vorrei che le macchine fatte dagli uomini resistessero così a lungo e senza manutenzione!”. Impossibile, aggiunge chi scrive, che - ohilui - ha appena ritirato dal meccanico la bicicletta, bucata per l’ennesima volta tra gli asfalti romani. Torniamo a Stannard che, alla spiegazione scientifica più che chiara, aggiunge un’osservazione più che ragionevole. E cioè che se nessuno morisse, non ci sarebbe più vita perché il mondo sarebbe sovraffollato e nessuno avrebbe da bere o da mangiare. Infatti, prosegue Stannard: “Dal punto di vista dell’evoluzione, è fondamentale che si muoia per far posto alle nuove generazioni. E’ strano, ma vero: la morte è un’importante parte della vita”. Per finire in bellezza, una curiosità. Stannard racconta che, nel nostro codice genetico “che stabilisce come devono essere fatte le diverse parti del nostro corpo ci sia anche un codice che dice al nostro corpo quando dovrebbe morire”.
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pedagogista: sentinella dei più piccini
Tuesday, 29/12/1992
Pedagogista: sentinella dei più piccini di Raffaella Del Core
Ma che cosa fa mai questo misterioso pedagogista che, ci dicono, è una via di mezzo tra lo psicologo e il pedagogo di antica memoria? Giacomino ha girato la domanda a uno di loro. Eleonora Mingoia lavora al Comune di Roma ed è piccola e morbida come la fatina azzurra della disneyana Bella addormentata nel Bosco. Quando parla, è un fiume in piena, e al contempo fa scarabocchi e disegnini su appunti e quadernetti nel suo piccolo studio pieno di libri per bambini e burattini.
“Che cosa fate voi pedagogisti per migliorare la vita dei bambini e quindi anche quella dei loro genitori?
Il nostro compito è di osservare che tutto fili liscio nello sviluppo cognitivo e nell’apprendimento dei bambini dai sei mesi ai quattordici anni. Lavoriamo con penna, blocchetto e questionari. Prendiamo nota di come un bimbo si muove, di come si relaziona con gli altri bambini, di come gioca o studia. Ma ci occupiamo anche delle attività extrascolastiche (arte, musica, recitazione), del disagio fisico (gli handicap), dell’alimentazione.
“Ci spieghi meglio”
Il pedagogista, nelle scuole (quando c’è, n.d.r.) è un po’ come il semaforo verde e giallo: funge da campanello d’allarme. Il bambino che presenta qualsiasi problema - dalla dislessia alla difficoltà a concentrarsi - viene da noi individuato e indirizzato allo specialista giusto: psicologo, logopedista, educatore, assistente sociale.
“Insomma un aiuto concreto per le mamme che qualche volta, disorientate, non sanno dove portare il figliolo svogliato, disattento, iperattivo, apatico?”
Sì, ma siamo anche una sorta di guida per gli insegnanti che per spiegare un problema di matematica o una bella poesia usano, naturalmente, lo stesso metodo per la classe intera. Compito di noi pedagogisti è, invece, fare di ogni piccolo un universo a sé. Infatti ogni bimbo è diverso, ognuno apprende in modo differente e noi cerchiamo di capire il suo codice e di incentivarlo.
“Ogni scuola ha il suo pedagogista?”
No, per ora no, purtroppo, ma stiamo lavorando per esserci.
“Allora, dove potete essere rintracciati?”
Nelle Asl, ad esempio. Oppure negli ospedali, al Comune, alla Regione.
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