LO ZOO DI PIETRA DEI MUSEI VATICANI

Occhio…ai “pasticci” del passatodi Giandomenico Spinola

Giungendo ai Musei Vaticani con i vostri figli e volendo unire al piacere dell’arte anche un viaggio nel mondo degli animali – cosa che sarà certamente apprezzata dai pargoli -  è possibile soffermarsi, appunto, nella Sala degli Animali, all’interno del Museo Pio Clementino. Prima di avventurarci nel bioparco marmoreo, dobbiamo fare un passo indietro nel tempo e ricordare la grande passione dei Papi del Rinascimento per l’arte antica. Un amore che durò nei secoli riempiendo palazzi e giardini pontifici di capolavori greci e romani. Durante il Settecento - non a caso ai tempi dell’Illuminismo - Pio VI organizzò il primo museo vaticano, il Museo Pio Clementino. Pio VI trovò nella collezione vaticana numerose sculture di animali. Decise così di riservare loro un’intera sala. Un bestiario antico, a volte fantastico, mitologico, arricchito da pezzi moderni per integrare le creature mancanti. Si scolpirono animali esotici, sconosciuti, che potessero sorprendere il visitatore: furono infatti colti mentre cacciavano, mangiavano, dormivano, allattavano, lottavano tra loro. Modelli, i disegni dei viaggiatori che osservavano la natura misteriosa di Paesi lontani. Gli esecutori trasferirono nel marmo (e che marmi: bianchi, maculati, peperini!) quelle forme sconosciute.
Ciò premesso, muoviamo qualche passo nella Sala degli Animali osserviamo alcune opere con un occhio archeologico e uno naturalistico. Al numero 171 corrisponde un gruppo con un cane che assale un cervo montandogli in groppa, ma come può esser possibile? I cani non hanno artigli e il cervo se lo scrollerebbe di dosso in un baleno! A guardar bene, però, le zampe (con artigli) e la coda (con il ciuffo) non appartengono a un cane, ma ad un leone. Ecco spiegato il mistero: uno sprovveduto artista del ‘700 ha trovato la scultura mezza rotta e la ha integrata a modo suo, ricostruendo il cane al posto del leone. Poco oltre, al numero 117, si dice esserci un leopardo di età romana, ma questo ha il manto di alabastro e le macchie nere a ciambella in onice, con al suo interno il denso “marmo antico”. Ma è il giaguaro ad essere così! E il giaguaro vive nella foresta amazzonica che fu scoperta nel ‘500. Quindi la statua non può essere romana! Al numero 114 Francesco Antonio Franzoni - uno scultore del ‘700, specializzato in animali - fece porre la sua bella “ragusta”, ma questa ha le chele (pinze) ed è quindi un astice e non (come pensava lui) un’aragosta: povero Franzoni, era tanto abile come scultore, ma come naturalista lasciava proprio a desiderare! Che dire poi dei quel contadino (al numero 67) che cerca di mungere un toro? Naturalmente l’opera romana rappresentava una vacca.
Accanto agli animali che troviamo in natura vi sono quelli che appartengono alla mitologia e alle leggende. Al numero 68, c’è il torso mostruoso e feroce del Minotauro, metà uomo e metà toro; al numero 62 un centauro marino (metà uomo e metà pesce) che rapisce una ninfa; al 127, un altro centauro (torso d’uomo e gambe da cavallo) con un amorino in groppa. E così via, tra realtà e fantasia, si può percorrere tutta la sala. Alla fine non si capisce più che cosa appartiene alla natura e cosa sia frutto dell’immaginazione umana o dei nostri stessi sogni.

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