Archivio di 12/1998

COME PREVENIRE L’AMBLIOPIA,

Tuesday, 29/12/1998

COME PREVENIRE L’AMBLIOPIA,
PIU’ COMUNEMENTE CONOSCIUTA COME “OCCHIO PIGRO”

Intervista al dottor Maurizio Terrana

Medico-Chirurgo, specialista in Clinica Oculistica e Chirurgia Oculare presso la Fondazione G.B.Bietti per l’Oftalmologia di Roma (sito Internet: www.eyefoundbietti.it)

D – Che cos’è , in parole semplici, l’ambliopia?

R - E’ un disturbo dell’occhio che, in assenza di modificazioni organiche quali ad esempio la cataratta o il distacco della retina, vede meno dell’altro; tale difetto insorge nella prima infanzia, cioè durante lo sviluppo dell’apparato visivo, e non si corregge solo con gli occhiali ma necessita di una terapia appropriata e a volte lunga.

D – Perché si chiama “occhio pigro”?

R – Perché l’occhio che vede meno bene (spesso a causa di uno strabismo o di una anisometropia, cioè di un differente difetto visivo tra i due occhi) lavora meno e si impigrisce, non sviluppa cioè una acuità visiva pari a quella dell’altro.

D- Come accorgersi se un bambino ha un occhio ambliopico?

R – Solo l’oculista - durante una visita in cui vengono instillate al bambino particolari gocce - può accertare la presenza o meno dell’ambliopia.

Se un bimbo ha un occhio storto, o se in famiglia ci sono stati casi di occhio pigro è bene andare al più presto dallo specialista.

A 3-4 anni, comunque, tutti dovrebbero fare la prima visita di controllo della vista, ed eventualmente ripeterla a 6 anni. Infatti soltanto se diagnosticata in tempo l’ambliopia può essere curata con buoni risultati.

D – Come si corregge l’occhio pigro?

R – E’ anzitutto importante correggere la vista con gli occhiali o le lenti a contatto (questo nei bimbi più grandi o se il difetto di vista è elevato); può essere poi necessario bendare l’occhio che vede meglio, costringendo così l’occhio pigro a lavorare di più..

La terapia - che l’oculista porta avanti in collaborazione con l’ortottista - non è assolutamente dolorosa.

Richiede soltanto molta pazienza ed un grande impegno da parte del bambino e soprattutto da parte dei genitori.

D – Quanto tempo ci vuole perché l’ambliopia scompaia?

R – La durata della terapia dipende da diversi fattori: dalla gravità del difetto, da quando è stata posta la diagnosi, e soprattutto dalla costanza nell’eseguire le prescrizioni.

In genere, per una ambliopia “profonda”, ci vogliono comunque diversi anni.

D – Durante la terapia il bambino può condurre una vita normale?

R – Assolutamente si.
 
 

POTETE FARE DOMANDE O CHIEDERE CHIARIMENTI AL DOTTOR MAURIZIO TERRANA SCRIVENDO ALLA E-MAIL eyefoundbietti@eyefoundbietti.it OPPURE CONTATTANDO LA REDAZIONE DI GIACOMINO

L’INFLUENZA: epidemia che non c’è?

Tuesday, 29/12/1998

L’INFLUENZA: epidemia che non c’è?

Intervista alla dottoressa Donatella Bandino, Pediatra di base

Il 13 gennaio – quando Tv e giornali non fanno altro che parlare di epidemia influenzale e di ospedali ko - l’ambulatorio della pediatra di mio figlio è vuoto.

D - Dottoressa Bandino, e dove sono i malati?

R – Non ci sono. Come vede, la sala d’aspetto è vuota.

D – Saranno a letto, con l’influenza?

R – E io non sarei qui, ma in giro a fare visite. Non c’è proprio – almeno finora – questa epidemia tanto strombazzata dalle Tv e dai giornali. Pensi che l’anno scorso, in questo periodo, non facevo altro che correre da un paziente all’altro.

D – Se l’epidemia non c’è, meglio così. Però, parliamone di questa influenza! Perché mamma e papà, quando il piccino ha la febbre e sta mogio mogio, non mangia, non urla e non rovescia ninnoli e giocattoli a terra, si preoccupano.

R – E’ vero. E le dirò di più: spesso, le visite a domicilio servono più a tranquillizzare un genitore particolarmente agitato che a intervenire sul piccolo. Ma anche questo fa parte del nostro mestiere. Perché, tornando all’influenza - se non ci sono complicazioni - le regole da seguire sono sempre le stesse: abbassare la febbre (se è molto alta) con un antipiretico, non forzare il bambino a mangiare, fargli bere molta acqua , non coprirlo troppo, e soprattutto lasciare che si riposi così il suo organismo può combattere da sé il virus.

D – E, invece, quando è il caso di cominciare a preoccuparsi?

R – Quando la febbre – dopo 4 o 5 giorni - non recede nonostante gli antipiretici. Oppure se il bambino è in uno stato di torpore. Se non c’è reazione agli stimoli.

D – Parliamo dei sintomi. Come si manifesta l’influenza di quest’anno?

R – Con febbre molto alta (39-40). Con inappetenza o mal di testa. Oppure con vomito e diarrea: in questo caso la temperatura può anche non aumentare e bisogna far attenzione che il bambino beva molto lentamente.

D – E se, oltre all’influenza, il bambino ha anche mal di gola, o tosse, o mal d’orecchio?

R – In questi casi sarà il pediatra, caso per caso, a prescrivere la terapia più appropriata.

D – Una volta che il bambino ha “sfebbrato”, quando può tornare a scuola?

R – In genere, dopo un paio di giorni che la febbre è andata via e ha ripreso a mangiare e a giocare. Se ci sono complicazioni, però, è meglio aspettare qualche giorno di più prima di fargli riprendere le normali attività scolastiche. Il pericolo, in questo caso, sono le ricadute: otiti, tonsilliti che – vorrei ricordarlo – non vanno mai curate con antibiotici FAI DA TE, cioè somministrati senza la prescrizione del medico.

D – Se l’influenza si manifesta con giramento di testa o dolori addominali, ma senza temperatura alta, cosa fare?

R – In questi casi, quando cioè l’influenza non costringe a restare a letto, è consigliabile dare al bambino qualche ricostituente, per aiutare il suo organismo a combattere il virus. Va bene la Pappa reale, per esempio, o qualche prodotto naturale. Sì anche alle passeggiate al parco, nelle ore più calde. Ricostituenti naturali e aria aperta sono un toccasana anche nella fase della convalescenza.
 
 

Minestre e minestroni

Tuesday, 29/12/1998

 

 Minestre e minestroni
di Brigida StagnoDi fronte a spinaci, cavolfiori, bieta, peperoni un “NO” secco è quasi la regola. Molto spesso è difficile far mangiare le verdure ai bambini, che mostrano per questi alimenti un vero e proprio rifiuto. Eppure, l’importanza di ortaggi e legumi per difendere la salute e il benessere dell’organismo è stata dimostrata ampiamente da studi clinici condotti in tutto il mondo. La maggior parte delle fibre, delle vitamine e dei sali minerali, si trovano, infatti, proprio nei vegetali, che non devono mai mancare sulla tavola. 
“Grazie al loro contenuto in antiossidanti – spiega il professor Marcello Ticca, ricercatore all’Istituto nazionale della Nutrizione di Roma – le verdure ci proteggono dai radicali liberi, implicati nell’insorgenza delle malattie cardiovascolari, e dei tumori.”
Ma questo non trascurabile  particolare, si sa, ai piccoli interessa ben poco. “Mangiare regolarmente la verdura – aggiunge Ticca – aiuta a mantenere il peso forma, perché a parità di peso questi alimenti contengono meno calorie, sono più voluminosi e quindi aumentano il senso di sazietà. Ecco perché mangiare verdure è utile per combattere anche l’obesità, un problema sempre più diffuso anche tra i più piccoli: oggi il 30-35% dei bambini tra i 5 e i 14 anni è in sovrappeso, soprattutto nel Sud Italia”.
Ma quanta verdura bisogna mangiare? “ Almeno una porzione al giorno, da associare a due porzioni di frutta, un alimento che viene accettato più facilmente dal bambino per il suo sapore dolce. L’ideale, però, sarebbero 5 porzioni al giorno, tra vegetali e frutta”. 
Ma, veniamo al dunque. Considerate le note virtù di questi cibi, come riuscire a farli mangiare ai nostri figli? “Innanzi tutto con il buon esempio – suggerisce Ticca – se il bambino vede fin da piccolo mamma e papà che prendono volentieri un piatto di insalata o di spinaci, piano piano si abituerà  all’idea che mangiare verdura è normale e prima o poi finirà per accettarla. E’ poi importante proporre le verdure fin dalla più tenera età, cioè appena il bambino viene svezzato”.
Inutile, poi, pretendere che ortaggi e legumi piacciano tutti indistintamente. Se il bambino preferisce le carote e considera “cattivi” i carciofi , accontentiamolo. Con gli anni, l’apprezzamento per una gamma più vasta di vegetali, è quasi automatico. Certo, qualche trucchetto è d’obbligo: nei piccoli più ostinati le verdure non vanno presentate nude e crude, ma, per esempio, sotto forma di sformati o mischiati nella pasta asciutta.
Non solo, ma in certi casi bisogna mascherare anche il loro odore con erbe aromatiche, in modo da stimolare il palato anche del bambino più schizzinoso.
 

Le paure dei bambini

Tuesday, 29/12/1998

 
  
 Le paure dei bambini

di Claudia Giannini
La paura della notte. La paura della Tv. La paura della scuola. La paura di essere abbandonati perché la famiglia si sfalda.

La paura di non essere all’altezza delle aspettative dei genitori. La paura di non essere belli.

Sono queste le vecchie e le nuove paure dei bambini emerse da un’indagine condotta fra 1.500 alunni delle scuole pubbliche e private di Roma, dal centro all’estrema periferia. L’inchiesta è stata coordinata dal dottor Federico Bianchi di Castelbianco e dalla dottoressa Paolo Binetti, neuropsichiatra dell’età evolutiva dell’Università Campus Bio-Medico di Roma.

L’indagine – nata proprio dal bisogno di capire da dove nascono alcune forme di disagio nei bambini che possono sfociare, per esempio, nell’abbandono scolastico - rivela che molte paure sono uguali a quelle vissute dalle vecchie generazioni (anche se scaturiscono da situazioni diverse), ma molte sono esclusive dei bambini di oggi “dovute al nuovo modello di società che si è andata rapidamente evolvendo e che vuole che il bambino diventi presti un adulto, ma poi non gli da gli strumenti necessari per gestire la propria autonomia.”

Già da piccoli, i nostri figli temono di non essere belli o di essere inadeguati e incapaci, di essere abbandonati e di restare soli.

Ed è proprio la solitudine – e soprattutto la solitudine dai genitori - il nodo centrale intorno al quale si sviluppano le paure.

Nel bambino – spiega la dottoressa Binetti – l’esperienza della paura si lega all’esperienza della relazione di aiuto che gli adulti gli permettono di sperimentare. Il bambino sperimenta insieme la paura e la possibilità di controllarla e da questa esperienza impara ad elaborare strategie di fuga o di controllo a cui lega la possibilità di recuperare il dominio della situazione. La paura non è mai soltanto paura di qualcosa, è anche paura di essere solo davanti a qualcosa di terribile.

“Imparare a non aver paura è diventato condizione e metafora della possibilità di essere considerato maturo ed autonomo – dice il dottor Bianchi – e, in genere, non essere più bambino significa soprattutto aver coraggio e poter controllare la propria paura. Così il bambino impara più a nascondere la propria paura che ad affrontarla e risolverla. E’ la paura di essere giudicato, di essere preso in giro che crea una sorta di capsula in cui restano latenti molte altre paure che spuntano fuori nei momenti più impensati”.

“HO PAURA” , scritto dalla dott.ssa Binetti insieme alla dottoressa Flavia Ferrazzoli - esperta in problemi del linguaggio dei bambini - e alla dottoressa Caterina Flora - psicologa e psicoterapeuta - fornisce il resoconto dell’indagine sulle paure dei bambini e una riflessione sulle strategie educative e terapeutiche che si possono mettere in atto per fronteggiarle e lenirle.

La paura della notte

E’ quella che angoscia di più i bambini, senza distinzione di età. La notte – intesa come lungo momento di separazione – può attivare sentimenti di abbandono. Tutti, da piccoli, abbiamo avuto paura del buio. Ma il buio che faceva paura a noi o ai nostri genitori – dice il dottor Bianchi – era un buio diverso, perché difficilmente si dormiva da soli: le famiglie erano più numerose, in casa c’era sempre un nonno o uno zio e il bambino veniva lasciato raramente con una persona estranea, una baby sitter.

Un tempo c’era più disponibilità a tener compagnia al bambino che andava a letto, c’erano più fratelli e venivano raccontate più favole. Adesso il bambino è spesso affidato alla televisione dalla quale è attratto ma che allo stesso tempo teme.

Lasciare le luci accese o controllare bene che non ci siano mostri sotto il letto e in ogni angolo della stanza non è sufficiente se il genitore non condivide emotivamente le preoccupazioni del bambino.
 
 
 
 

La paura della TV

Il bambino è attratto dalla Tv ma la teme. E’ come l’adulto che fa la fila al botteghino per vedere il film horror e poi trema di paura in sala.

In TV – spiega il dottor Bianchi - il bambino vede materializzarsi le sue angosce (catastrofi, sofferenze, violenze) e la pericolosità sta nel fatto che spesso si confronta da solo con esse pur non avendo la maturità di porre un limite alle sue visioni. Così, se sente parlare di un terremoto può immaginarselo come una serie di crolli e può averne molta paura. Ma se vede uomini e cani che cercano superstiti o corpi martoriati può vivere un profondo senso di angoscia., e qualche volta le immagini televisive sembrano indugiare proprio sui bambini.

La paura delle immagini televisive è molto diversa dalla paura del “cattivo” delle favole raccontate perché queste - proprio perché raccontate - sono “contenute” da un adulto.

Cosa fare? Prima di tutto – dice il dottor Bianchi – è necessario che le emittenti rispettino le fasce orarie protette risparmiando ai bambini scene di violenza esasperata e linguaggi forti. Poi è necessario limitare la quantità di tempo che il bambino passa davanti alla Tv, soprattutto da solo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

.

La paura della scuola

Riguarda soprattutto i maschietti di 9-10 anni. Secondo l’indagine, a scatenare la paura della scuola è soprattutto il forte spirito competitivo che anima i rapporti sia con gli amici sia con gli insegnanti.

I bambini – dice il dottori Bianchi - più che fare gruppo per fronteggiare l’autorità (come facevano i nostri genitori), cercano di primeggiare l’uno sull’altro e vogliono sbalordire l’adulto più che ottenere il suo riconoscimento ( e gli eccessi si vedono nei tentativi di screditare le conoscenze delle maestre). Questi modelli se da una parte seducono il bambino perché gli propongono un’immagine forte, dall’altra lo rendono vulnerabile perché gli chiedono un impegno che va oltre le proprie possibilità emotive e, a lungo andare, causano stress e disagio che sono le principali cause degli atteggiamenti negativi verso la scuola e possono sfociare nell’abbandono. “Non si può vivere quotidianamente in una situazione di disagio – per di più proiettata verso il futuro – senza volerne fuggire”.

Cosa può fare, quindi, la scuola?

Deve allentare lo spirito competitivo e aiutare il bambino a dare il meglio di ciò che ha piuttosto che seguire male un modello di sviluppo. Soprattutto la scuola materna – insiste il dottori Bianchi - dovrebbe valorizzare di più il gioco senza voler trasformare ogni attività ludica in uno strumento conoscitivo. Gioco e lavoro devono essere tenuti distinti se si vuole aiutare il bambino a non vivere continuamente l’angoscia del giudizio.

Piccoli e grandi paure: cosa fare?

Se i più piccoli sono spaventati quando si trovano da soli in bagno, in un primo confronto con la propria intimità, i più grandi, invece, temono di non rispondere al modello sociale e a quei modelli che la pubblicità esalta: competitività, bellezza a tutti i costi, moda. Hanno paura di non poter reggere al modello che gli viene presentato da tutti, a cominciare dai genitori. E pensano di essere poco interessanti perché il tempo che mamma e papà dedicano loro è poco, e spesso è investito in attività frenetiche che diventano occasioni di giudizio più che di incontro

Hanno paura della separazione dei genitori perché hanno sempre più difficoltà a vivere lo scontro come una delle modalità dello stare insieme e nutrono poca fiducia nelle possibilità di riparare un rapporto perché troppo spesso il conflitto porta a rotture radicali.

Ma come aiutare i bambini e, soprattutto, cosa dire ai genitori?

E’ importante – dicono gli esperti – rafforzare nel bambino la fiducia in se stesso, stargli emotivamente vicino, rassicurarlo, ascoltare i suoi racconti senza sminuirli, ma anche senza esagerare. Il bambino deve imparare a parlare delle sue paure e a chiedere aiuto. Può anche sentirsi solo davanti al pericolo, ma non dovrebbe mai esserlo veramente.

HO PAURA” scritto dalla Binetti insieme alla collega Flavia Ferrazzoli - esperta in problemi del linguaggio dei bambini - e a Caterina Flora - psicologa e psicoterapeuta - fornisce il risultato della ricerca sulle paure dei bambini e una riflessione sulle strategie educative e terapeutiche che si possono mettere in atto per fronteggiarle e lenirle.
Edizioni scientifiche Ma.Gi.
£38.000

Perchè una madre uccide il proprio figlio?

Tuesday, 29/12/1998
Ultimi articoli pubblicati

Perchè una madre uccide il proprio figlio?

In aumento, in Italia, i crimini commessi dalle madri contro i propri figli:145 dal 2000 al 2007 gli omicidi, con una media di 20,7 all’anno. Quasi la metà degli episodi si registra nel Nord Italia, soprattutto in Lombardia e a Milano. I numeri del dramma sono stati fotografati oggi all’ospedale materno-infantile Macedonio Melloni del capoluogo lombardo. L’azienda ospedaliera Fatebenefratelli, cui fa capo il presidio di via Melloni, con il suo Centro depressione donna ha stretto infatti un’alleanza ad hoc con l’assessorato comunale alla Salute. Opuscoli, incontri e progetti ‘in fieri’ contro l’emergenza.
Ma cosa spinge una madre a uccidere il figlio? “Nel 38,7% dei casi una malattia psichiatrica - spiega Alessandra Bramante, criminologa e psicologa del Centro depressione donna del Fatebenefratelli - nel 10,4% una conflittualità di vario tipo, nel 7,1% un maltrattamento, nel 6,1% una situazione di abbandono o trascuratezza”. A volte la mamma è spinta da ‘pietatis causa’, ossia da un intento simile a quello che anima l’eutanasia. Infine, “i problemi economici ‘pesano’ per l’1,8% del totale”. Secondo gli esperti, figlicidi e neonaticidi per mano materna prevalgono nelle famiglie con un buon livello di istruzione e di reddito. “Soldi e cultura non c’entrano - commenta l’assessore milanese alla Salute, Giampaolo Landi di Chiavenna - come pure non bisogna puntare il dito contro la cosiddetta società globalizzata e consumistica, se è vero che i numeri attuali sono pari a quelli degli anni ‘70″.
“Insonnia, deliri, allucinazioni, precedenti di psicosi in famiglia e morte di un proprio caro”. Questi, elenca Bramante, i principali fattori di rischio che possono sfociare in cronaca nera. “L’arma chiave si chiama prevenzione - afferma Claudio Mencacci, direttore del Dipartimento di Salute mentale del Fatebenefratelli - perché il ‘fulmine a ciel sereno’ non esiste”. Esistono piuttosto segnali di disagio da intercettare, aggiunge, campanelli d’allarme fra cui spicca la depressione post-partum: “Più del 10% delle neomamme presenta un disturbo depressivo - avverte il medico - e lo 0,1% sviluppa una psicosi vera e propria”. E cosa rende la Lombardia e Milano aree più vulnerabili? “Nella nostra città il 60,1% delle donne lavora e il tasso di natalità è complessivamente buono (1,4 figli per donna, contro una media nazionale di 1,34) - ricorda lo specialista - Essere madri e lavoratrici nello stesso tempo è possibile, ma in una società in cui la famiglia allargata si è persa e i nonni ‘baby-sitter’ sono un lusso per pochi, urgono politiche di supporto alle giovani coppie”. La certezza di una casa, asili, nidi aziendali, un lavoro flessibile, ma sicuro: “Tutti elementi indispensabili a uno Stato moderno, su cui mi impegno a lavorare in prima persona”, promette Landi.
Secondo uno studio condotto da Alessandra Bramante dal 1958 al 2007 i casi di mamme assassine sono stati in Italia 814, per un totale di 971 baby-vittime. Degli 814 episodi 211 sono neonaticidi (bebè ucciso entro il primo giorno di vita) e 603 i figlicidi (dal primo giorno di vita in poi). La madre uccide il figlio appena nato soffocandolo, oppure gettandolo dalla finestra (per i figli più grandi). Il 48% dei figlicidi e il 18% dei neonaticidi (quasi uno su 5) avvengono nel Settentrione, e i più colpiti sono i bimbi da zero a 6 anni. Nel 1958-59 i casi sono stati 40 (in media 20 all’anno), negli anni ‘60 sono stati 238 (23,8 ogni anno) e negli anni ‘70 in tutto 205 (20,5 l’anno); si scende poi ai 113 casi degli anni ‘80 (11,3 all’anno) e ai 73 degli anni ‘90 (7,3), per poi ‘rimbalzare’ ai livelli di trent’anni fa con il dato dei primi 7 anni del Duemila.

 


La Leche League Lazio
La Leche League Lazio 

Altri articoli pubblicati


 

Scuola per baby sitter
Il trasloco a misura di bambini (aprile 2000)
Ditecelo! (aprile 2000)
Un lavoretto piccolo piccolo (marzo 2000)
Il seno come il ciuccio (feb.2000)
Maternità e lavoro - una scelta impegnativa (feb.2000)
Un figlio al di là del mare: l’adozione a distanza (dic.99)
Allattamento e lavoro (ott.99)
Fratello di latte  (ott.99)
Partorire d’estate a Roma (luglio-agosto ‘99)
In viaggio con il bebè al seno (marzo ‘99)
Maternità e lavoro (gennaio ‘99)
E’ reato pubblicizzare i prodotti per i lattanti (nov.98)
Dall’America la notizia scioccante: il latte materno uccide (nov.98)
Mamme più informate, allattamenti più felici (nov.98)
Le dieci regole per una sano allattamento al seno (ott.98)
Cosa fare per favorire l’allattamento al seno? (ott.98)
Quanto deve durare l’allattamento materno? (sett.’98)
Il latte materno può salvare dalla morte (luglio-agosto ‘98)
Allattiamoli al seno (giugno ‘98)

Scuola per baby sitter

Tuesday, 29/12/1998

 Scuola per baby sitter
“Facciamo crescere Peter Pan”
 Baby sitter esperta cercasi: che sia brava e paziente, sempre allegra divertente…
Per essere una vera Mary Poppins non basta saperci fare con i bambini: occorre competenza.
Così la II Circoscrizione organizza 10 incontri con psicologi, pediatri e insegnanti che mettono a disposizione la loro esperienza per formare le future Mary Poppins.
Gli incontri - che si terranno a partire dal 18 ottobre in via Dire Daua 11 - sono gratuiti e con cadenza settimanale. Sono organizzati dalla Banca del Tempo e dalla Consulta del Volontariato, ed hanno il patrocinio dell’Assessorato alle Politiche sociali.
Sono rivolti a chiunque voglia prestare la propria opera come baby sitter e saranno corredati da un attestato di frequenza.

Per informazioni tel. 06. 80698231
 
 

Calendario degli incontri:

18 ottobre Inaugurazione

  • “Cominciamo a parlarne” dott.ssa Daniela Iorio, psicologa analista, correntista della Banca del Tempo (BdT)
  • “Attenti ma non troppo: l’ambiente del bambino” dott.ssa Stefania Viola, psicologa clinica, Ospedale Bambino Gesù

25 ottobre

  • “Il bambino e le sue età” dott.ssa Carla Silvestri, pediatra, Ospedale Santo Spirito

8 novembre“L’alimentazione del bambino: cibo è nutrimento, cibo è trasformazione, cibo è relazione” dott.ssa Maria Elena Dili, neuropsichiatra infantile

15 e 22 novembre

  • “Comunicazione e gioco” dott.ssa Silvana Coltarti, psicopedagogista, correntista BdT

29 novembre

  • “Conosci le leggi per tutelarti” dr. Antonio Pace, correntista BdT

Romano Dalla Chiesa, delegato per Roma Unione Europea Assicuratori
 6 dicembre
 

  • “Il bimbo venuto da lontano” ing Edoardo Almagià, voontario Welcome, correntista BdT

13 dicembre

  • “Esiste la normalità” dott.ssa Paola Baffi, psicopedagogista, correntista BdT

20 dicembre

  • Chiusura della prima parte del corso con la dott.ssa Paola Coltarti

Seconda Parte

Per chi ha già esperienza o sta per fare il/la baby sitter sono previsti piccoli gruppi condotti da professionisti 

E’ reato pubblicizzare gli alimenti per lattanti

Tuesday, 29/12/1998

E’ reato pubblicizzare gli alimenti per lattanti
 In Italia la legge c’è. Ed è molto chiara in tema di alimenti per lattanti: non possono essere pubblicizzati in nessun modo, neanche sotto forma di campioni; non possono essere venduti a domicilio o per corrispondenza; non possono essere oggetto di vendite promozionali, non possono essere comunque offerti campioni gratuiti o altri omaggi che promuovano il latte artificiale alle donne incinte e alle madri ,direttamente o indirettamente attraverso il sistema sanitario o gli operatori sanitari.
Con il Decreto legge n.500 del 6 aprile del 1994, l’Italia ha recepito le direttive CEE sugli alimenti per lattanti e gli alimenti “di proseguimento”. La pubblicità di tali prodotti – specifica l’articolo 7 – può essere fatta solo attraverso pubblicazioni specializzate in puericultura e attraverso pubblicazioni scientifiche. E può fornire solo informazioni a carattere scientifico e concreto che non facciano , in ogni caso, intendere o avvalorare la tesi che l’allattamento artificiale sia superiore all’allattamento al seno.
Nel decreto, inoltre vengono specificate le norme per l’etichettatura degli alimenti per lattanti e di proseguimento. Deve essere specificata la superiorità del latte materno, non ci devono essere informazioni che scoraggiano l’allattamento al seno, non devono esserci immagini di lattanti o altre immagini che idealizzino l’uso del prodotto, deve essere scritto a chiare lettere che il prodotto deve essere usato dietro parere di persone qualificate nel campo della medicina, dell’alimentazione, della maternità, dell’infanzia, e l’etichetta non deve contenere termini come “umanizzato”, “maternizzato” o simili.

Giacomino n.3 del 15 novembre 1998

Torna alla pagina “Mamme”
Torna all’indice “Articoli pubblicati”

Dall’America la notizia scioccante: il latte materno uccide

Tuesday, 29/12/1998
Dall’America la notizia scioccante: il latte materno uccide
Dall’Italia una risposta secca: è una bufala
 La notizia ha fatto presto il giro del mondo. Alcuni ricercatori americani hanno accusato il latte materno di essere responsabile di numerosi decessi di bambini nati sani e morti per una forma di denutrizione chiamata “insufficienza da latte”.
E’ puro terrorismo psicologico – gridano i pediatri dalle pagine de La Stampa – perché il latte materno è l’alimento più sano che esista e aiuta a crescere meglio. In un’intervista allo stesso quotidiano il dottor Ettore Garzena, ricercatore della cattedra di Neonatologia dell’Università di Torino, spiega: “Il latte umano è l’alimento base del neonato. Può non bastare. Può richiedere un’integrazione nutritiva. Ma se fosse pericoloso, la natura avrebbe provveduto a modificarne la composizione biologica.”
Secondo la dottoressa Marianne Neifert , invece, il latte materno diventerebbe “veleno” quando le mammelle sono irregolari o poco sviluppate, dopo interventi quali biopsie e radiazioni, in assenza di aumento delle mammelle dopo il parto, a causa dello stress o della pressione alta, a causa di emorragie, di problemi ormonali legati a disfunzioni tiroidee, per l’età avanzata della neo-mamma.
Le controindicazioni all’allattamento al seno esistono, ma sono rare, risponde il dottor Garzena. “E’ da evitare, spiega, quando la madre ha gravi malattie infettive in corso come l’HIV, oppure in caso di polmoniti o bronchiti. Ma, per il resto, non c’è alcun motivo di pensare che il latte della madre possa addirittura uccidere”.

 Giacomino n. 3 del 15 novembre 1998

Torna alla pagina “Mamme”
Torna all’indice “Articoli pubblicati

LE DIECI REGOLE PER UN SANO ALLATTAMENTO AL SENO

Tuesday, 29/12/1998
LE DIECI REGOLE PER UN SANO ALLATTAMENTO AL SENOE’ un nuovo codice promosso dall’Unicef e dall’Oms: gli ospedali che rispetteranno queste norme saranno indicati come “Amici dei bambini”.

1- Definire un protocollo scritto per l’allattamento al seno da far conoscere a tutto il personale sanitario
2- Preparare tutto il personale sanitario per attuare compiutamente questo protocollo
3- Informare tutte le donne in gravidanza dei vantaggi e delle modalità dell’allattamento al seno
4- Aiutare le madri perché comincino ad allattare già mezz’ora dopo la nascita
5- Mostrare alle madri come allattare e come continuare a farlo anche nel caso vengano separate dal loro bambino
6- Non somministrare al neonato nessun cibo o bevanda che non sia latte materno
7- Sistemare i neonati nelle stesse stanze delle madri in modo che trascorrano insieme 24 ore su 24
8- Incoraggiare l’allattamento a richiesta, senza orari rigidi
9- Non dare tettarelle artificiali o altri tipi di “ciucci” ai neonati durante i periodi dell’allattamento
10- Creare dei gruppi di sostegno all’allattamento al seno ai quali le madri possono rivolgersi dopo la dimissione dall’ospedale

Giacomino n.2 del 15 ottobre 1998

Torna alla pagina “Mamme”
Torna all’indice “Articoli pubblicati”

COSA FARE PER FAVORIRE L’ALLATTAMENTO AL SENO?

Tuesday, 29/12/1998

COSA FARE PER FAVORIRE L’ALLATTAMENTO AL SENO?E’ necessario che si crei una “cultura dell’allattamento al seno” e la si difenda energicamente dalla “cultura dell’allattamento artificiale” , dice il dottor Luciano Proietti del gruppo medico-scientifico dell’Unicef. Devono essere compiuti sforzi per accrescere la fiducia delle donne nella loro capacità di allattare, attraverso l’eliminazione di restrizioni e di influenze che alterano la percezione ed il comportamento femminili, spesso con mezzi insidiosi ed indiretti. Inoltre – aggiunge il dottor Proietti  - dovrebbe essere eliminato qualsiasi ostacolo presente all’interno del sistema sanitario, del mondo del lavoro e della comunità. Ogni governo – dice – dovrebbe sviluppare politiche nazionali di allattamento al seno, fissare obiettivi e istituire un sistema nazionale per il controllo del raggiungimento di tali obiettivi.
L’organizzazione mondiale della Sanità e l’Unicef hanno lanciato una nuova campagna che chiede agli ospedali ed ai reparti di maternità di diventare “Amici dei bambini” impegnandosi ad osservare un preciso codice di condotta.
“Il comportamento di ostetriche, pediatri, puericultrici –  sostiene il dottor Proietti – influenza profondamente milioni di madri e nelle primissime ore dopo la nascita si decide se una donna riuscirà o meno ad allattare al seno il suo bambino”.
Il dottor Proietti lancia un’accusa agli ospedali italiani. Oggi – afferma - in molti dei nostri ospedali, i neonati vengono sistemati in sale separate e viene loro dato il biberon dopo la nascita “in attesa della montata lattea”, quando sappiamo che è proprio il latte dei primi giorni, il cosiddetto colosto, quello che fornisce anticorpi e fattori difensivi importantissimi per la salute. 
Inoltre – aggiunge – alle mamme vengono spesso offerti campioni gratuiti di prodotti con lo scopo di pubblicizzare una determinata marca e questo sistema della fornitura gratuita di latte artificiale nei reparti di maternità è estremamente diffuso e rappresenta uno dei canali privilegiati per la promozione dei sostituti del latte materno.
 

Giacomino n.2 del 15 ottobre 1998

Torna alla pagina “Mamme”
Torna all’indice “Articoli pubblicati”

 
Archivi - 11/2018, 11/2017, 10/2017, 09/2017, 06/2017, 01/2017, 11/2016, 08/2016, 06/2016, 05/2016, 03/2016, 02/2016, 01/2016, 12/2015, 11/2015, 10/2015, 08/2015, 06/2015, 05/2015, 04/2015, 03/2015, 02/2015, 01/2015, 12/2014, 11/2014, 10/2014, 09/2014, 07/2014, 06/2014, 05/2014, 04/2014, 03/2014, 02/2014, 01/2014, 12/2013, 11/2013, 10/2013, 08/2013, 06/2013, 05/2013, 04/2013, 03/2013, 02/2013, 01/2013, 12/2012, 11/2012, 09/2012, 08/2012, 07/2012, 06/2012, 05/2012, 04/2012, 03/2012, 02/2012, 01/2012, 12/2011, 11/2011, 10/2011, 09/2011, 08/2011, 05/2011, 04/2011, 03/2011, 02/2011, 01/2011, 12/2010, 11/2010, 10/2010, 09/2010, 08/2010, 07/2010, 06/2010, 05/2010, 04/2010, 03/2010, 02/2010, 01/2010, 12/2009, 11/2009, 10/2009, 09/2009, 08/2009, 07/2009, 06/2009, 05/2009, 04/2009, 03/2009, 02/2009, 01/2009, 12/2008, 11/2008, 10/2008, 09/2008, 08/2008, 07/2008, 06/2008, 05/2008, 04/2008, 03/2008, 02/2008, 01/2008, 12/2007, 11/2007, 10/2007, 09/2007, 08/2007, 07/2007, 06/2007, 05/2007, 04/2007, 03/2007, 02/2007, 01/2007, 12/2006, 11/2006, 10/2006, 09/2006, 08/2006, 07/2006, 06/2006, 05/2006, 04/2006, 03/2006, 02/2006, 10/1999, 09/1999, 04/1999, 03/1999, 12/1998, 11/1998, 10/1998, 07/1998, 01/1998, 11/1993, 12/1992,
Aut.246/98 del 1/6/98 del Tribunale Civile di Roma - Marchio registrato

Direttore responsabile: Sara Musa


Giacomino Blog powered by Coded and Designed by